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Indietro Dall’exploit del 2022 al rallentamento degli ultimi mesi: le fonderie italiane guardano con cautela al nuovo anno

Dall’exploit del 2022 al rallentamento degli ultimi mesi: le fonderie italiane guardano con cautela al nuovo anno
congiuntura analisi dei bilanci
20/12/2023

L’indagine annuale di Assofond sui bilanci 2022 delle fonderie evidenzia risultati convincenti, ma costi energetici, tassi di interesse e bassa crescita pesano sulla fiducia degli imprenditori

Milano, 20 dicembre 2023 – Dopo il crollo degli utili del 2020 pandemico e la forte ripresa dell’anno successivo, il 2022, nonostante i tanti elementi di criticità che l’hanno caratterizzato, ha visto le fonderie italiane consolidare i livelli raggiunti, facendo segnare risultati molto positivi per quasi tutti gli indicatori di performance e rafforzando la situazione economica complessiva del settore, appesantito negli anni precedenti da eventi fortemente critici sia sul lato della domanda che sul lato della redditività.

Questo, in sintesi, è quanto emerge dall’indagine annuale sui bilanci delle fonderie italiane realizzata dal Centro Studi di Assofond, l’associazione di Confindustria che rappresenta le fonderie italiane, che ha consentito di tracciare un quadro dell'andamento del 2022 per il settore in generale e per i diversi comparti in cui si suddivide: fonderie di acciaio, di ghisa e di metalli non ferrosi.

Nel 2022 il dato aggregato dei ricavi del settore è cresciuto del +24,7% sul 2021 (fig. 1): un risultato di poco inferiore a quello del 2021 stesso (+29% sul 2020), momento di massima domanda di mercato, e ben al di sopra dei valori che si osservano sugli altri anni immediatamente precedenti, connotati da una flessione sia nel 2019 (-3,9% sul 2018) sia nel 2020 (-15,6% sul 2019). Non mancano le sfumature di valore fra i comparti: le fonderie di ghisa vedono aumentare il proprio fatturato del +30,2%, mentre quelle di zinco si fermano al +11,6%.

L'indice generale di redditività, il ROE (Return On Equity), passa invece dallo 0,9% del 2021 all'8,2% dell'ultimo anno di analisi (fig. 3). Il balzo del 2022 è notevole anche in relazione alla dinamica della redditività degli ultimi sei anni: il valore dell'ultimo anno si pone al di sopra di tutti gli altri esercizi, dopo due anni di rapida flessione, fra il 2019 e il 2020 e un ROE del 2021 di poco sopra il valore dell'anno precedente, minimo storico assoluto (fig. 3)

«Il 2022 è stato un anno particolarmente positivo per molti settori di attività – sottolinea Claudio Teodori, docente di analisi di bilancio e comunicazione finanziaria all’Università degli Studi di Brescia. Le fonderie hanno realizzato, unitamente all’intero comparto siderurgico, un importante miglioramento della situazione economica complessiva, raggiungendo valori neppure immaginabili nel recente passato. In particolare, appare positiva la crescita del Roe, soprattutto se accompagnata da attente politiche di autofinanziamento, tali da permettere la disponibilità di risorse per lo sviluppo futuro, vista la tensione sul lato del finanziamento bancario. D’altra parte, il 2023 che volge al termine presenta uno scenario diverso: i dati più recenti rilevano una generale riduzione dell’attività produttiva cui si aggiunge, per il nostro Paese (e non solo), una crescita del PIL inferiore al punto percentuale, senza contare il pesante fardello del debito pubblico, che non tende a ridursi e preoccupa non solo per il suo valore assoluto ma per gli interessi che lo Stato dovrà pagare, che contraggono le risorse da destinare allo sviluppo».

«I risultati del 2022 – sottolinea il presidente di Assofond, Fabio Zanardici dicono che le imprese del settore hanno dimostrato, ancora una volta, una capacità di reazione non comune, che ha permesso di riportare la nave sulla giusta rotta dopo anni difficili. D’altra parte, l’exploit è stato almeno in parte dovuto a circostanze del tutto eccezionali, e in particolare a una domanda che si è mantenuta tonica per tutto l’anno nonostante i continui aumenti che abbiamo dovuto applicare ai prezzi di vendita dei prodotti per evitare di produrre in perdita a causa dell’incremento dei costi energetici, dei materiali ausiliari, dei servizi di subfornitura. Oggi, di contro, ci troviamo in una situazione di rallentamento del mercato e di contestuale normalizzazione dei prezzi di vendita che, oramai per tutte le imprese del settore, sono ancorati a meccanismi di indicizzazione ai costi di materie prime ed energia. Questi ultimi, sebbene in ritracciamento rispetto al 2022, restano decisamente superiori a quelli del periodo precrisi e l’assenza di misure di mitigazione come erano i crediti d’imposta (non più rinnovati dopo il primo semestre di quest’anno) impatta negativamente sulla marginalità».

In effetti, già nel 2022, l’aumentato impatto dei costi dei fattori produttivi esterni – come i beni di terzi e gli oneri diversi di gestione, ivi incluse le utenze energetiche – ha inciso negativamente sulla marginalità del valore aggiunto, ridottasi del -5,6% rispetto all’anno precedente proprio a causa dell’impatto economico complessivo dei fattori produttivi esogeni, sempre più marcato.

«Il valore aggiunto, che si riduce in termini di incidenza delle vendite, sta a significare che i costi esterni, in particolare acquisti e servizi (tra cui il costo dell’energia) hanno manifestato un incremento ben superiore a quello del fatturato. Buona parte di questi aumenti – sottolinea ancora Teodoriè stata traslata sui prezzi di vendita ma, per il futuro, visto il prevedibile progressivo decremento di questi ultimi con lo sgonfiarsi dell’inflazione, sarà importante capire come gestire i costi operativi. Su questi, infatti, vi sono delle incognite: il prezzo delle materie prime è molto dipendente dall’evoluzione del mercato mondiale (si pensi solo a come il costo del rottame dipenderà da quante imprese straniere passeranno ai forni elettrici); il gas è legato alle politiche energetiche del Paese, che non hanno mai brillato per lungimiranza».

Proprio le incognite legate allo scenario geopolitico, che inevitabilmente condiziona tanto l’andamento del mercato quanto i costi di produzione, impattano sulla fiducia degli imprenditori del settore: l’ultima rilevazione Assofond, svoltasi a fine novembre 2023, evidenzia un sentiment di attesa, improntato alla cautela. La maggioranza delle imprese che hanno risposto al sondaggio si aspetta nei prossimi sei mesi un quadro complessivamente stazionario.

«Al momento – rileva Zanardi – non abbiamo ancora sentore di ripresa, e crediamo che si dovrà probabilmente attendere la seconda metà dell’anno per vedere qualche segnale. Del resto, il rallentamento del 2023 è stato almeno in parte dovuto alle notevoli scorte di magazzino che molti clienti avevano accumulato lo scorso anno; scorte che, visto il calo della domanda finale, non sono ancora state smaltite del tutto. Ci auguriamo quindi che a partire dal secondo semestre si possa assistere a una ripartenza della domanda, anche se è molto presto per fare previsioni».