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L’allarme delle fonderie italiane: rincari insostenibili per i prezzi delle materie prime. E le scorte si stanno esaurendo
materie prime
28/01/2021

Un intero settore è alle prese con costi lievitati fino a oltre il 50%. Inevitabili le ripercussioni sui prezzi dei prodotti finiti

Milano, 28 gennaio 2021 – Fra fine 2020 e inizio 2021 il mercato delle materie prime per le imprese di fonderia (rottame e ghisa in pani per le fonderie di metalli ferrosi, lingotti in leghe di alluminio e metalli leggeri per quelle di metalli non ferrosi) ha fatto registrare forti aumenti che, nel breve volgere di qualche settimana, hanno toccato la doppia cifra.

La crescita, più vigorosa di quanto fosse possibile prevedere, sta creando grossi problemi a un settore che, in Italia, conta oltre 1.000 imprese, 30.000 addetti e un giro d’affari complessivo superiore ai 6 miliardi di euro. Il trend sembra essersi ormai consolidato, e gli operatori del settore non si sbilanciano su una possibile inversione di rotta nel breve periodo. Questo significa, per le imprese del settore, essere costrette ad agire sui prezzi di vendita per non compromettere ulteriormente la loro stabilità finanziaria, già messa alla prova dalla pandemia e dalla difficile fase di rilancio post-Covid.

«L’andamento dei costi delle materie prime – sottolinea Roberto Ariotti, presidente di Assofond, l’associazione di Confindustria che raggruppa le fonderie italiane – è davvero preoccupante e ci sta creando non poche difficoltà. La dinamica, per certi versi, è simile a quella che abbiamo sperimentato durante la crisi finanziaria del primo decennio di questo secolo: nel 2008 i prezzi delle materie prime sono più che raddoppiati in pochi mesi, per poi rientrare ai livelli di partenza altrettanto rapidamente. All’epoca si trattò di una bolla, come si scoprì in seguito, mentre oggi abbiamo delle motivazioni legate all’economia reale. Da un lato, il lockdown della primavera 2020 ha ridotto drasticamente la produzione di materie prime come la ghisa in pani; dall’altro, la crisi del settore dell’auto ha altrettanto drasticamente determinato un forte calo nella raccolta del rottame. A partire dai mesi estivi, la rapida ripresa dell’attività siderurgica e metallurgica in Cina e negli Stati Uniti ha drenato rapidamente quel poco che era rimasto sul mercato, determinando così uno squilibrio fra domanda e offerta che ha portato alla situazione attuale».

I rincari, secondo quanto rileva ogni due settimane la Camera di Commercio di Milano, sono stati ingenti: basti pensare che la quotazione della ghisa da affinazione è passata da una media di 319 euro la tonnellata rilevata a settembre 2020 ai 493 euro rilevati il 22 gennaio (+55%) mentre per quanto riguarda il rottame, il lamierino in pacchi è passato dai 303 euro di inizio settembre ai 395 di fine gennaio (+30%).

Analogamente al comparto dei metalli ferrosi, anche i non ferrosi (soprattutto alluminio, rame, zinco, nichel) nel corso del 2020 hanno sperimentato una fase di fortissima effervescenza, che ha spinto le quotazioni verso livelli record. A colpire particolarmente è la dinamica dell’alluminio secondario. A inizio gennaio le quotazioni al London Metal Exchange (LME) dell’alluminio secondario hanno superato i 2.000 $/tonnellata, con un balzo pari a quasi l’80% rispetto ai minimi dello scorso marzo-aprile. Dietro questa impennata c’è la ripresa dell’attività industriale cinese, che ha prodotto una crescente domanda di alluminio da rottame: «In Cina – prosegue Ariotti – sono in vigore forti restrizioni sulle importazioni di rottame e scarti, che hanno fatto crescere a dismisura l’import di alluminio da rottame, ovvero le leghe di alluminio secondario. Da qualche mese, tuttavia, si nota anche un forte approvvigionamento di rottame da parte di trader asiatici, che evidentemente hanno trovato il modo di farlo arrivare nonostante i divieti. Ne consegue quindi un disagio per l’approvvigionamento interno, con una condizione di squilibrio fra domanda e offerta del rottame e prezzi più elevati per il secondario».

Anche le quotazioni LME di zinco, rame e nichel hanno raggiunto tassi di crescita superiori al 60%: dopo il ridimensionamento di inizio 2020, che ha coinvolto tutti e tre i metalli in questione, la ripresa dell’economia cinese ha spinto le loro quotazioni su livelli record: il rame è passato da circa 4.600 $/t di marzo a oltre 8.100 $/t di inizio 2021 (+76%); lo zinco dai minimi di marzo intorno ai 1.700 $/t ha superato i 2.800 $/t (+60%) e il nichel dagli 11.000 $/t di marzo ha superato i 18.200 $ a inizio anno (+66%).

Un'impennata che preoccupa le aziende del settore, anche perché la percezione è che questa tensione sui prezzi possa proseguire: «Le nostre imprese – sottolinea Ariotti – sono fornitori strategici di alcuni fra i principali gruppi della metalmeccanica mondiale: pensiamo alle case automobilistiche, alle multinazionali del settore energia, o ancora ai grandi cantieri navali, i costruttori di aeroplani o di macchine agricole. È chiaro che non possiamo assorbire il peso di aumenti così ingenti e che, se la dinamica sarà confermata, il prezzo dei nostri prodotti dovrà giocoforza aumentare».