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Energia, il presidente Zanardi: «Il panico è finito, ma l’emergenza rimane»
energia assofond
2/03/2023

Le riflessioni del presidente di Assofond sull’andamento dei mercati energetici e sulla transizione green chiesta dall’Europa

Nonostante la normalizzazione che ha caratterizzato l’inizio del 2023, i mercati energetici rappresentano ancora una criticità per il sistema produttivo italiano, e richiedono di conseguenza interventi non ordinari.

Il presidente di Assofond, Fabio Zanardi, si è soffermato su questo tema: «Credo non ci sia più il panico di qualche mese fa – ha dichiarato Zanardi – ma comunque l’emergenza rimane. È vero che il prezzo è ai minimi da settembre 2021, ma è altrettanto vero che è oltre due volte e mezzo più elevato rispetto a gennaio 2021. Considerare l’emergenza finita non è quindi corretto: le imprese, soprattutto quelle energivore come le fonderie, stanno ancora affrontando costi per l’acquisto di energia elettrica e gas nettamente superiori a quelli cui sono state abituate negli ultimi anni. Non vorrei che si diffondesse l’idea secondo cui l’industria italiana non ha più bisogno di essere supportata».

Anche se la volatilità del mercato si è ridotta, con prezzi abbastanza stabili negli ultimi due mesi, avvenimenti imprevedibili possono sempre creare nuovi scossoni, come accaduto un anno fa con l’invasione russa dell’Ucraina. «Il tutto – ha proseguito Zanardi – senza considerare che questa dinamica inflattiva si è ormai estesa a tutti i fattori produttivi: a fronte di un primo calo dei prezzi delle commodity energetiche proseguono invece per le fonderie i rincari di materie prime, materiali ausiliari e lavorazioni esterne».

Dopo un 2022 molto difficile, che però le imprese del settore sono riuscite a superare con buoni risultati grazie anche al supporto di misure congiunturali come il credito d’imposta per l’acquisto di energia elettrica e gas, oggi sono necessarie misure strutturali, anche a livello europeo, per evitare di ritrovarsi nuovamente in situazioni critiche come quelle che, fra fine 2021 e inizio 2022, hanno costretto molte fonderie a interrompere volontariamente la produzione a causa dei costi insostenibili.
«Nel 2022 ci siamo scoperti fragili dal punto di vista energetico. Questo impone di lavorare per correggere un mercato che da tempo riteniamo sia da riformare. L’Italia, fin dallo scoppio della guerra, ha lavorato bene per diversificare gli approvvigionamenti e questa strategia ha pagato. Certo abbiamo dovuto sopportare costi superiori, ma il grande lavoro fatto ci ha quasi liberato dal ricatto russo e ha evitato il rischio di razionamenti o interruzioni di forniture. Ciò detto, c’è ancora molto da fare: serve indubbiamente una riforma del mercato elettrico, che deve essere costruito in modo tale da riuscire a trasferire ai consumatori i vantaggi offerti dalle energie rinnovabili, a partire da quelli in termini di costo. Il marginal price funziona quando il prezzo del gas è fra i 20 e i 30 €/MWh, non quando si colloca sulle quotazioni attuali né tantomeno su quelle dello scorso anno. Cambiare le regole significa però doversi necessariamente riferire all’Europa: oggi ci sono fortissime asimmetrie fra i Paesi europei e ancor più con i Paesi extraeuropei, che non ci permette di competere ad armi pari. Un mercato unico europeo dell’energia potrebbe garantire ai cittadini e alle imprese maggiore efficienza e sicurezza sul piano geopolitico: non possiamo pensare di ritrovarci ancora in una situazione come quella della scorsa estate quando – con il prezzo del gas che ha raggiunto picchi di aumento di oltre 12 volte il prezzo del gennaio 2021 e di circa 10 per il settore elettrico – i Paesi europei si sono fatti concorrenza per l’approvvigionamento di gas e l’acquisto autonomo di rigassificatori. Questo ha portato a un’ulteriore esplosione dei prezzi, che ha danneggiato tutti, quando avremmo dovuto ragionare in un’ottica di solidarietà e approccio comune».

Il tema energetico si ricollega peraltro a doppio filo con quello della transizione ecologica, su cui l’Europa ormai da diversi anni ha scelto di essere in prima fila, con obiettivi di decarbonizzazione molto sfidanti da raggiungere.
«Le politiche energetiche – ha sottolineato Zanardi – poggiano fondamentalmente su tre pilastri: ambiente, competitività (cioè prezzi) e sicurezza. La spinta all’ecologismo che sta guidando l’Europa ha fatto sì che ci si sia concentrati quasi esclusivamente sul tema ambientale. Niente in contrario, naturalmente, ma lo shock energetico che abbiamo vissuto deve far riflettere sui tempi della transizione. Credo che oggi l’Europa sia a un bivio: indipendenza energetica e transizione green “ragionata” da un lato, deindustrializzazione dell’altro. Torno sul punto già accennato prima: un maggior coordinamento da parte dell’Unione in materia energetica permetterebbe innanzitutto di disaccoppiare il costo dell’energia da quello del gas, oltre che di fare acquisti congiunti di materie prime energetiche senza mettere in concorrenza i Paesi europei fra di loro, in una corsa all’accaparramento che abbiamo visto come possa creare solo speculazione sui prezzi. Al contrario, l’assenza di un coordinamento rischia di riproporre una dinamica particolarmente negativa per il nostro continente e per la nostra industria, dato che il problema dei costi energetici è quasi esclusivamente europeo. Finché il costo dell’energia sarà così superiore a quello di USA e Asia è chiaro che corriamo il rischio di vedere una massiccia delocalizzazione in Paesi dove si può produrre con costi più competitivi».

Nel percorso verso la decarbonizzazione, che tutti i settori produttivi sono chiamati a intraprendere, il tema dell’approvvigionamento energetico, delle fonti rinnovabili e della sostenibilità degli investimenti per azzerare le emissioni, rappresenta quindi il cuore del problema per tutte le imprese energivore.
«Le aziende stanno già facendo tutto il possibile in fatto di efficientamento energetico, decarbonizzazione e autoproduzione di energia rinnovabile. Le fonderie italiane, in questo senso, sono all’avanguardia in Europa: il report di sostenibilità del settore, realizzato da Assofond, sottolinea come le imprese del settore destinino all’ambiente circa il 20% dei loro investimenti, a fronte di una percentuale media dell’industria italiana che non arriva al 2%. Di più: le fonderie italiane, rispetto a quelle degli altri principali Paesi europei, hanno già da molti anni intrapreso la strada verso l’elettrificazione della produzione. E questo è stato fatto in tempi non sospetti e nonostante un prezzo medio dell’energia elettrica in Italia che, anche nei periodi antecedenti la crisi attuale, è sempre stato superiore a quello di Germania, Francia e Spagna, solo per citare i principali competitor. Questa strada, però, può e deve essere resa più semplice e accessibile, attraverso sostegni agli investimenti e rimozione degli ostacoli autorizzativi, come ad esempio i vincoli ancora esistenti per la creazione di comunità energetiche da parte delle aziende più grandi».