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Nomisma Energia: la mobilità troppo verde fa male?
28/09/2020

Secondo il think tank, con l'auto elettrica si sta commettendo lo stesso errore del fotovoltaico

“La mobilità troppo verde fa male all'economia, e anche all'ambiente”. È così che inizia il comunicato stampa di Nomisma Energia, relativo al recente rapporto “Scenari energetici, sostenibilità e automobili”, realizzato dallo stesso think tank. Sembra una provocazione, in realtà è un segnale di allarme verso quell’atteggiamento, prettamente italiano, di seguire le mode e abbandonarsi ciecamente ai messaggi sensazionalistici.

«Abbiamo a che fare con una moda, sì». Conferma Davide Tabarelli, fondatore e presidente di Nomisma Energia. «Siamo sulla stessa lunghezza d’onda del fotovoltaico, anzi, forse in una maniera più pronunciata. Pensiamo infatti alle batterie che alimentano l’auto elettrica. Si tratta di una tecnologia relativamente semplice. E quando c’è la semplicità di mezzo, la prima a farne le spese è l’economia di scala. Contestualmente chi ne trae vantaggio è la Cina, che per quanto riguarda la realizzazione di questi beni è imbattibile. Chi infatti può tenerle testa sostenere nella produzione delle batterie? Esperienza già vissuta con il fotovoltaico: settore che fin dall’inizio ha avuto e ha ancora delle dimensioni pazzesche. Oggi proprio la Cina produce circa il 70% dei pannelli a livello mondiale. Sul fronte delle batterie, siamo vicini a queste soglie. Si sta cercando di recuperare, ma con difficoltà».

Quali sono le cause di questa miopia?

La questione centrale è che il consumatore medio non acquista auto elettriche. Una verità, questa, non esclusivamente italiana. La Norvegia, per esempio, paese ricchissimo, con una grande produzione elettrica e che da trent’anni fa incentivi a sostegno del settore, ha un parco auto in cui l’elettrico copre solo l’8%. E spesso di tratta di una seconda macchina. Perché?

Già, sfatiamo un mito: perché?

Perché l’elettrico non sostituisce il diesel, o più in generale, il motore a combustione interna. I tempi di ricarica delle batterie sono lunghi. I chilometri percorribili sono sensibilmente meno. L’elettrico abbraccia tutta un’altra mobilità. A breve raggio e prettamente urbana.

Per questo Nomisma dice che la mobilità verde fa male all’economia?

In futuro dobbiamo aspettarci cambiamenti tecnologici davvero travolgenti. La mobilità è effettivamente in una fase di rivoluzione. Possiamo pensare a efficientare le modalità di ricarica delle batterie. Le auto sono mediamente ferme il 95% del loro tempo. Questa è una potenzialità da sfruttare. Tuttavia, per il momento, la nostra mobilità è ancora legata a un genere di trasporti e di economia globalizzata in cui l’auto con motore a combustione interna svolge un ruolo da protagonista. 

E se invece pensassimo a un diesel più efficiente?

Per il semplice motivo che fa più chilometri, il diesel ha già una sua efficienza. Certamente restano dei grandi margini di miglioramento. Penso all’ibrido. È già noto che l’integrazione tra due tecnologie può portare a dei risultati molto soddisfacenti. L’errore che, al contrario, si sta commettendo, soprattutto in Italia, è concentrarsi soltanto su una tecnologia, seguendo appunto la moda. Investire sull’elettrico è una scorciatoia per risolvere dei problemi molto complessi. Perché sa da un lato il diesel è molto inquinante, secondo un luogo comune, dall’altro ci si dimentica che l’elettricità è un vettore, quindi va prodotta. Bisogna controllare, a monte, dove venga prodotta. Poi c’è il problema dello smaltimento delle batterie, che hanno una durata molto limitata nel tempo, al massimo dieci anni, e un impatto ambientale altrettanto incisivo.

Quando lei parla di moda, significa che c’è un problema culturale e di percezione distorta della realtà?

Bisogna considerare la psicologia del consumatore, il marketing, l’urbanizzazione, certo, c’è da fare un discorso culturale. Come per tutte le grandi evoluzioni economiche. Ma c’è anche un problema di atteggiamento politico. Spesso chi decide si limita ad annunci superficiali. In questo caso, dobbiamo riflettere su cosa sia l’industria automobilistica. Soprattutto quella italiana. Una realtà produttiva fortemente legata al mercato tedesco, vincolata da un consumatore che ha delle esigenze che l’elettrico non può soddisfare. Se non teniamo conto di questi e tanti altri elementi, continueremo a fare il gioco dei cinesi e di chi è più ricco di noi.

Intervista a cura di Antonio Picasso